“QUO CITIUS RURSUM NATURA PEREMPTA RESOLVAT DA TUA PURGANTI MEMBRA CREMANDA ROGO”
“Lascia che un rogo purificatore porti a compimento la cremazione del tuo corpo, permettendo così alla natura di completare più rapidamente il suo corso”.
In questa epigrafe, che si trova all’ingresso del Tempio Crematorio di Torino, è sintetizzata la “quaestio” ontologica del movimento cremazionista. Da sempre il rapporto dell’uomo nei confronti del processo biochimico della lenta ed inesorabile decomposizione della salma è stato caratterizzato da sentimenti di disagio, di sconcerto, di intima ribellione. Da sempre questo progressivo disfacimento delle membra è stato considerato come un’offesa alla dignità dell’uomo oltre che un pericolo dal punto di vista igienico-sanitario.
Per questo, in tutte le civiltà, si è provveduto formulare riti e procedure allo scopo di prendere le distanze, di allontanare questo avvenimento dalla comune percezione. Per alcune culture è un allontanamento fisico e puramente sensoriale (inumazione, tumulazione), in altre diviene il tentativo di fermare il processo stesso (imbalsamazione), in altre ancora si attua con una volontaria accelerazione dei processi ossidativi naturali attraverso il fuoco (cremazione).
Il pensiero “cremazionista” intende non soltanto rispondere razionalmente al bisogno sopra descritto ma vuole anche proporre una simbolica alternativa al “ritorno alla terra” od all’ingenuo tentativo di “fermare il tempo”. Intende orientare la direzione che porta al di là del confine del corpo non più verso il basso ma verso l’alto. Intende contribuire a reinterpretare nel modo più alto infatti il rapporto esistente tra corpo e natura, tra tempo e vita. Intende così
delineare una più liberante distinzione tra l’ordine della materia e del tempo e quello che dalla materia e dal tempo si distingue, prescinde e viene separato, da ciò che nella memoria o, negli spazi dello spirito, la supera e le sopravvive.